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Ma la giustizia nel nostro Paese va rifatta Sono 3 i (più) grandi nodi da sciogliere(?) a) – La famigerata lentezza della macchina b) – La politicizzazione/ personalizzazione c) – Drammatiche condizioni dei detenuti Laratta: ‘Vi racconto il fallimento Why not’

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Europee 2009: le 400mila preferenze di De Magistris sono figlie anche di quest’inchiesta che alla fine si è rivelata un flop. Dal punto di vista della congruità giudiziaria. Non per il dividendo politico raccolto dall’ex pm. Non per gli effetti devastanti che ha provocato nella parte – evidentemente – sana della nostra politica: il governo Prodi è caduto per la sfiducia di Mastella che negò il proprio voto anche a causa della pressione sotto la quale si trovava per Why not; 150 indagati; l’allora presidente della Provincia di Cosenza, Tonino Acri, si ammalò fino a perdere la vita. Nove milioni di euro spesi da tutti noi. Il diritto-dovere della magistratura di accertare, appunto, la verità (che fino a quel momento non conosce) può portare ad un terremoto del genere senza che ci si pongano domande circa la possibile strumentalità di tutto questo? E la domanda apre la questione politica, che si lega al tema della eventuale politicizzazione (l’uso della giustizia a scopo politico) di parti della magistratura: come il giornale della politica italiana scrisse ormai mesi fa, è necessario che la politica italiana faccia un passo indietro, e che da quella posizione di ritrovata forza e credibilità affronti, insieme agli organi dei magistrati, il tema della riforma. Che deve combattere entrambe le possibili deformazioni. Ma a partire dal disarmo da parte di chi ha la responsabi- lità della guida del Paese: appunto, la nostra politica. Il deputato Pd, ora, sull’inchiesta-flop De Magistris.

Nella foto, Luigi De Magistris sullo sfondo del logo Idv: “Dalla parte dei cittadini” (?)

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di FRANCO LARATTA*

“Il castello accusatorio è crollato in toto´! A dirlo non è una parte politica. Lo afferma un magistrato, il giudice Abigail Mellace nelle motivazioni della sentenza relativa all´inchiesta “Why not”, la madre di tutte le inchieste, quella che arrivò a Palazzo Chigi quando c´era Prodi, coinvolse Mastella, tanti parlamentari, i vertici di Compagnia delle Opere, imprenditori, professionisti, ecc ecc. Quattro anni di inchiesta, nove milioni di euro il costo, migliaia di persone intercettate, 150 indagati, quasi tutti assolti. Il pm di Catanzaro, Luigi De Magistris, nonostante il flop della sua inchiesta e un durissimo atto di accusa del Csm, diventa europarlamentare di Idv con 400 mila voti di preferenza!! La legislatura prodiana, toccata da Why not nel 2007, ne ebbe uno scossone dal quale non si è mai ripresa.

Ecco quindi cosa è rimasto di una clamorosa inchiesta che ha fatto tremare il Paese e le sue massime istituzioni. Leggendo più attentamente nelle motivazioni della sentenza, si nota che il giudice non esita a definire Why not come una clamorosa operazione mediatica! Come dire: tutto si è celebrato nei media nazionali, sulla stampa e nelle grandi trasmissioni televisive. Un processo mediatico quindi, un reality giudiziario che è stato seguito e sostenuto da milioni di spettatori, tutti convinti della colpevolezza dei 150 indagati eccellenti.

La madre di tutte le inchieste avrebbe dovuto portare a galla una serie di truffe legate all´utilizzo dei fondi comunitari e dei fondi regionali. Da qui sarebbero poi venute a galla una clamorosa corruzione, uno sfacciato clientelismo e un giro di affari messo in atto da imprenditori senza scrupoli d´intesa con dirigenti e amministratori regionali. E da qui, a cascata, decine di altri reati che partendo dal più oscuro consigliere comunale o sindaco di città, ha toccato i palazzi del potere. Ovviamente non sono mancati gli aspetti più tragicomici: poteri occulti e logge massoniche in primis. Qualcuno ricorderà la Loggia di San Marino che presentata, Urbi et Orbi, come la cassaforte di Why not, alla fine è risultata… mai esistita!

Quattro anni di indagini sempre in prima pagina di giornali e Tg, una spallata al Potere e alle Istituzioni, gravi conseguenze per imprenditori coinvolti e professionisti messi alla berlina, per non parlare del fango lanciato su tutti i politici coinvolti (Tonino Acri, amatissimo presidente della Provincia di Cosenza, ne fu così tanto colpito che si ammalò gravemente per poi morire! Poco prima era stato del tutto scagionato dalla gravissime accuse). Ma per il Gup Mellace «l´ipotesi investigativa non ha trovato alcun conforto probatorio essendo stata sconfessata già nella fase delle indagini preliminari». Come dire, sin dal primo momento non si evidenziava alcuna traccia di reato…!

Venuta meno l´associazione a delinquere, di quell´inchiesta che ha fatto tremare il Paese non è rimasto praticamente nulla, solo le ceneri di attività imprenditoriali distrutte, di persone diffamate, di famiglie colpite psicologicamente ed economicamente. Un´indagine che si è basata sul nulla ed è andata avanti senza alcun fondamento.

E le migliaia di intercettazioni telefoniche, durate per anni? La sentenza del giudice Mellace recita così: «…non forniscono alcuna prova dell´esistenza del sodalizio descritto (associazione a delinquere) non ricavandosi dai colloqui intercettati la dimostrazione degli elementi costitutivi oggettivi di una qualsivoglia associazione».

E la testimone chiave, Teresa Merante, sulle cui dichiarazioni si è fondata gran parte dell´inchiesta? Il giudice Mellace dice di lei: «Le sue dichiarazioni sono state ritenute inattendibili, non solo in quanto intrinsecamente incredibili, ma perché smentite dagli esiti delle attività investigative di riscontro compiute dagli inquirenti».

Della madre di tutte le inchieste sono usciti sconfitti un po´ tutti:

- la magistratura: lacerata e distrutta da una guerra intestina che fa vittime ancora oggi;

- la grande informazione: quella che celebra i processi negli studi tv ed emette sentenze sommarie di condanna senza alcuna possibilità di contraddittorio e di appello;

- la buona fede dei cittadini: convinti che da quella inchiesta sarebbe venuto fuori tutto il marcio e la corruzione di cui erano piene (e lo sono ancora oggi) le istituzioni e la politica.

Mentre con Why not subisce un durissimo colpo la giustizia e le sue espressioni dirette, molti corrotti e corruttori sguazzano liberi per i palazzi e le stanze del potere. I cittadini avranno meno voglia di impegnarsi, forse nessuno se la sentirà più di combattere appassionarsi per affermare i principi di legalità e trasparenza.

FRANCO LARATTA*

*Deputato del Partito Democratico


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